Stato di emergenza

L’ educazione sociale, il tempo e le mode ci obbligano a classificare alcuni pericoli o minacce in base al nostro passato e al nostro livello culturale: oggi morire o essere uccisi in un incidente d’auto non ha molto effetto sulla nostra psiche e , la percezione di tale evento è quasi culturalmente accettata senza tentennamenti. Ogni guidatore è consapevole che potrebbe soccombere da un momento all’altro ma ciò non ci fa desistere dal guidare. Se, invece, veniamo attaccati ingiustamente per essere sopraffatti, sempre per un retaggio culturale, la maggior parte di noi si “paralizza” e, in molti casi, non è in grado di reagire adeguatamente, anzi, nella nostra cultura l’aggressività è vista come un’ emozione negativa non decorosa per l’uomo moderno pertanto è pubblicamente bandita, mentre invece, come ben sappiamo, essa è il carburante che permette all’uomo di vivere, progredire, lavorare, amare ed evolversi.

E’ noto che per potersi difendere adeguatamente da un’aggressione improvvisa e ingiusta occorre considerare alcuni fattori che influenzano tale circostanza e , nonostante molti siano convinti che possedere un’arma e avere l’autorizzazione a portala sia sufficiente a difendersi, la risposta ad una minaccia a mano armata non è per nulla semplice è scontata come si potrebbe dedurre, il semplice fatto di portare l’arma con noi non è una garanzia di risultato tantomeno se non abbiamo ricevuto un accurato addestramento.

Alcuni mesi fa, un appartenente alle forze di polizia, mi ha raccontato di essere intervenuto per una rapina a mano armata fatta nei confronti di un rappresentante di gioielli che trasportava diversi valori: il rapinato si trovò d’improvviso un’arma puntata ad un paio di metri di distanza e nonostante egli fosse armato non riuscì a reagire: il derubato spiegò agli agenti che in quel momento non ricordava neppure da che lato portava l’arma egli disse sconcertato che ” non era neppure sicuro di averla con se quel giorno”, mentre invece, terminato lo stress e passata la paura, si rese conto di avere con se l’arma e di portarla dove solitamente la indossava da anni, per di più la sua indecisione maggiore scaturì proprio dal fatto che in quel preciso istante si trovava in una posizione instabile e mai allenata, il cittadino confidò all’agente che egli si recava spesso al poligono di tiro a segno ma che non si era mai trovato in tale circostanza: stava scendendo dalla sua automobile e aveva un piede a terra e l’altro ancora in auto, in più nel lato della mano dominante aveva le chiavi dell’automobile!

Questi aspetti legati all’emergenza e al rischio che nel gergo tecnico vengono chiamati anche locus of control (la percezione di far fronte e controllare eventi particolari e improvvisi) ci inducono a considerare che quanto sopra esposto andrebbe affrontato su tre fronti: la tecnica, la psicologia del confronto e la psicologia dell’emergenza.

La tecnica possiamo apprenderla da qualsiasi istruttore in grado di trasferirci tali nozioni, anche se bisognerebbe aprire un capitolo su “che tipo di tecnica è idonea a tal fine”.

La psicologia del confronto andrebbe considerata a fondo poiché le sue implicazioni sono molteplici e nonostante possiamo essere potenzialmente in grado di usare l’arma che impugniamo non è certo che saremo in condizioni mentali di usarla in modo efficace e sicuro, da qui in concetto di Figth or Fligth (scappa o combatti) .

La terza considerazione è fondata sulla psicologia dell’emergenza che, pochissimi tengono in considerazione nella loro preparazione al combattimento: in questi casi è quella più importante, giacché, in simili circostanze, quando avremo la necessità di difenderci, saremo sempre in uno “stato di emergenza”, questo livello di tensione fisica dovrebbe prendere in seria considerazione non solo quelle tecniche ben congeniate e definite, ma anche quelle che io chiamo “mezze tecniche, o tecniche relative in quanto esse risulteranno adeguate ad una condizione improvvisa ed evolutiva di pericolo mortale, faccio un esempio esemplificativo: “poniamo di trovarci in questa ipotizzata condizione e di doverci difendere: “stiamo scendendo dalla nostra automobile e invece di avere appoggiato entrambi i piedi a terra (questa è la tecnica corretta) per fatalità abbiamo un piede dentro e uno fuori dall’automobile, cosa facciamo, ci siamo addestrati a tali circostanze? Credo che il 90% delle persone che detengono un’arma risponderanno di no! Ecco che in questi casi entra in gioco l’importanza dell’addestramento applicato alla psicologia dell’emergenza che, come abbiamo avuto modo di scrivere in altre occasioni, deve sempre essere realistico e non scontato: se nel nostro training non prendiamo seriamente in considerazione che in determinate situazioni il “quid” che può fare la differenza è proprio la capacità di adattamento insieme alla elasticità mentale di essere “comunque pronti e reattivi” a rispondere ad una aggressione da qualsiasi posizione ci troviamo, sebbene fossimo degli ottimi tiratori e avessimo con noi l’arma più affidabile al mondo e fossimo autorizzati ad usarla, ebbene, mancandoci la conoscenza della “realtà operativa d’emergenza” , nonostante tutto, verosimilmente saremmo incapaci o inefficaci nella nostra difesa.

Concludendo ritengo fondamentale fare tesoro delle esperienze di quanti malauguratamente si sono trovati in condizioni di estremo pericolo e attraverso un training specifico ricreare quelle “condizioni di emergenza” particolari che possiamo riassumere in due fasi essenziali: la fase della reazione, e la fase dei sintomi: nella prima andremo a valutare, in base alle descrizioni in nostro possesso, gli aspetti salienti degli eventi accaduti, sensazioni, malessere e la carica emotiva; nella seconda descriveremo i sintomi psichico somatici provati durante l’aggressione e subito dopo, dal punto della reazione alla fase di orientamento cognitivo dell’accaduto, tutto questo si rende necessario per imparare a “tollerare” le forti emozioni che ci pervaderanno nell’atto della difesa personale per la sopravvivenza.

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